“Arrival”, fantascienza e linguistica a servizio dell’umanità.

Articolo di Giorgia Loi

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“Arrival” è un film che fa la felicità di un linguista. Essendo io una linguista, quindi, sono molto felice di poterne parlare.

SI tratta di un film di fantascienza ma, oserei dire, un film di fantascienza “delicato”, molto concettuale, con un interessante twist filosofeggiante.

La recensione contiene spoiler, non è possibile farne a meno se si vuole affrontare la questione centrale.

La narrazione inizia con un tuffo nella vita di Louise (interpretata da Amy Adams) e di sua figlia che, nelle prime scene del film, vediamo nascere, crescere, ammalarsi e morire prematuramente.

La scena si sposta subito alla vita professionale di Louise, docente universitaria di linguistica, che vorrebbe introdurre i suoi allievi nel meraviglioso mondo del portoghese, “una lingua romanza con un suono così diverso da quello delle altre lingue romanze”, quando si viene a scoprire che 12 enormi oggetti non identificati, navicelle aliene che vengono subito ribattezzate “gusci” a causa della loro forma che ricorda quella di gigantesche uova allungate, sono atterrate in altrettanti punti dislocati su tutta la superficie terrestre.

Louise mantiene un notevole sangue freddo anche quando, il giorno successivo, unica persona ad essersi recata all’università, viene trovata dal Colonnello Weber, con il quale aveva in passato collaborato con un’importante traduzione dal sanscrito in una missione anti terrorismo, che le chiede di aiutare l’esercito a tradurre e comprendere linguaggio degli alieni.

Lavorerà insieme allo scienziato Hawkeye Ian Donnelly (Jeremy Renner),il quale ritiene che la scienza sia la forza più potente nelle mani dell’umanità. Louise se la ride sotto i baffi, facendogli sottilmente notare che non esiste scienza senza linguaggio, e quindi la sua specializzazione vince (yay, linguista for president!).

Insieme saranno portati dentro all’astronave e incontreranno, con molta emozione e molta paura, separati da un vetro protettivo, gli alieni stessi: enormi calamaroni neri alti qualche metro che vivono in un ambiente di nebbia fittissima e sono stati chiamati “eptopodi” per la presenza di sette arti/tentacoli.

Ho molto apprezzato il fatto che gli alieni siano stati dipinti, in questa pellicola, in maniera per nulla antropomorfa ma, per quello che ne sappiamo dell’evoluzione, plausibile. Pensare che esista un pianeta abbastanza simile da aver sviluppato forme di vita intelligente che si sono evolute dai cefalopodi anzichè dalle scimmie, a ben pensarci, sembra sensato.

Nell’arco di due incontri con gli alieni la professoressa farà quelli che a mio parere sono passi da gigante incredibili e sorprendenti, rendendosi conto che non sarà possibile interpretare il loro linguaggio orale e portando con sè una lavagnetta per introdurre il linguaggio scritto. Gli eptapodi risponderanno subito, per iscritto, utilizzando l’inchiostro contenuto delle manine tentacolo dei loro arti tentacolo (ovviamente!).coverlg_home

E mentre lo spettatore, assolutamente affascinato, pensa “Cavoli, questa donna è un genio, è riuscita a comunicare con una specie aliena completamente diversa da noi già dal secondo incontro!”, il colonnello Weber la prende da parte e le dice “Bisogna che chieda loro perchè sono qui, non possiamo perdere tempo con le parole di base!”.

Fortunatamente Louise non solo ha ragione, ma riesce anche a farlo capire al colonnello spiegandogli, come si farebbe con un bambino scemo (come appunto il colonnello appare, almeno a me-linguista, in quel momento) che non è possibile utilizzare un linguaggio per esprimere concetti astratti quando non vi sono le basi di comprensione del linguaggio stesso.

Il lavoro quindi procede per settimane, mentre la linguista e lo scienziato analizzano e comprendono sempre meglio l’”eptapodese”, facendo “amicizia” con i due alieni che hanno, simpaticamente, ribattezzato Tom e Jerry, essendo i loro reali nomi un po’ troppo impossibili da capire.

La cosa interessante di questo linguaggio, come subito viene sottolineato, è come esso venga scritto in maniera circolare e simultanea. Ogni “frase”, infatti, si sviluppa attraverso protuberanze attorno a un cerchio perfetto e viene scritta con un solo getto d’inchiostro.

Non c’è bisogno di sforzarsi per capire la particolarità di questa scrittura, ce lo spiega Louise: per scrivere in questo modo è necessario che prima di iniziare l’eptapode abbia già piena coscienza di tutta la frase. Come se noi scrivessimo con due mani, con una partendo da destra e con l’altra da sinistra, fino a ricongiungere i caratteri al centro. Si tratta, quindi, di una civiltà estremamente intelligente e con capacità a noi ignote.

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Mentre le menti evolute di Louise, Ian, Tom e Jerry lavorano insieme in pace, però, il mondo, che è mediamente fatto di cervelli molto meno sviluppati, si fa prendere dal panico.

Il perchè, guardando la scena “dall’alto”, sfugge: gli alieni non hanno fatto assolutamente, assolutamente nulla tranne comunicare dall’interno dei loro gusci.

Ma la Cina ha deciso che li deve attaccare, prima che attacchino loro. La Russia a quel punto non potrebbe essere da meno, molte altre nazioni si stanno attrezzando, e gli Stati Uniti…beh, gli Stati Uniti.

E’ abbastanza deprimente e, purtroppo, molto in linea con la depressione che si prova di questi tempi navigando i social network, pensare che questa sia un’ipotesi accurata di come reagirebbe il genere umano a un incontro di questo genere.

Louise e Ian si decidono a fare la domanda cruciale “che intenzioni ha la vostra specie sul nostro pianeta?”, ma, come si poteva sospettare, la risposta non è sufficientemente chiara e, oltretutto, menziona un’arma, creando naturalmente il panico.

Mentre l’esercito cinese si schiera, un soldato “x” in Nevada carica una bomba sulla piattaforma che trasporta Louise e Ian dagli alieni, che esplode nel momento in cui i due stanno cercando di comprendere bene il significato dell’ultima comunicazione, ma non prima che siano riusciti a registrare l’immagine di una complessissima scritta fatta di migliaia di simboli circolari che gli eptapodi scrivono tutti in una volta riempiendo tutto lo spazio visivo.

Quando la bomba esplode si ha la chiara percezione del fatto che, mentre Tom si ritira velocemente, Jerry “lanci” Ian e Louise fuori dall’astronave, ed è chiarissimo che l’intento sia quello di proteggerli.

Naturalmente nessuno dei governanti ed eserciti mondiali concepisce l’ipotesi che, nonostante siano stati attaccati gratuitamente, gli eptapodi non abbiano *comunque* intenti belligeranti. Invece è proprio così. I gusci si limitano ad allontanarsi un po’ dalla terra, ma appare evidente che non hanno alcuna intenzione di punire un’intera razza di esseri viventi perchè ne hanno incontrato uno violento.

Nel mentre Ian capisce, attraverso un ragionamento matematico (sì, diamo un po’ di soddisfazione anche alla matematica, che la linguistica ne ha tante in questo film), che i simboli mostrati tutti insieme fanno riferimento al concetto di tempo e comprende anche che, per avere una risposta completa, è necessario mettere insieme i simboli “offerti” da tutte e dodici le navi. Il messaggio è (sarebbe..) chiaro: le nazioni, per comprendere il messaggio, devono cooperare. Peccato che queste abbiano, invece, fatto a gara negli ultimi giorni a chi chiudeva prima le comunicazioni con le altre basi.

A questo punto devo tornare indietro e riprendere una parte di trama, che si sviluppa orizzontalmente durante il film: Louise fa dei sogni, e ha delle visioni. Di sua figlia, della sua vita privata e, a un certo punto, di un incontro vis a vis con uno degli eptapodi. Queste esperienze semi-oniriche iniziano, di fatto, dopo il primo contatto con gli alieni.

Man mano che i sogni si fanno più articolati, ci rendiamo conto che il padre di sua figlia è uno scienziato. Ci rendiamo anche conto che probabilmente questi non sono affatto ricordi. Che, probabilmente, il padre della bambina di Louise è Ian, e si tratta di visioni del futuro. 

Dopo l’esplosione della bomba Tom, che scopriamo essere l’unico dei due eptapodi sopravvissuto (sigh, RIP. Jerry), manda un piccolo guscio a prelevare Louise, che sale senza paura e si lascia portare nell’astronave, questa volta senza vetro protettivo, all’interno dell’ambiente nebuloso, dove vede Tom in tutta la sua enorme possenza.

L’ha portata lì per rivelarle che l’”arma” non è altro che un dono che stanno facendo all’umanità, uno strumento che permetterà alla razza umana di evolversi e di superare la propria limitata concezione del tempo: altri non è che (ci siamo arrivati, a questo punto, vero?) il loro linguaggio.

Quel linguaggio circolare che permette di vedere la realtà da tutti i suoi lati e che, a quanto pare, ha permesso a Louise di guardare il proprio futuro.

Tom rivela che gli eptapodi avranno bisogno dell’aiuto degli umani tra 3000 anni, in cambio di questo straordinario dono (che, si suppone, avrà anche il potere di aiutare la razza umana ad essere realmente d’aiuto).

Come farà la nostra eroina, adesso, a trasmettere in maniera efficace questo messaggio, prima che la Cina bombardi, prima che scoppi una guerra globale contro questa specie pacifica, prima che il pianeta vada a farsi benedire per nessun motivo?

Ma è ovvio: con uno sguardo sul futuro! (no, non racconterò anche questo)

Qui si apre il capitolo finale del film, con una riflessione sul tempo, sulla vita, sulle scelte. La domanda fondamentale è: se sapessi già come andrà a finire, vivresti comunque allo stesso modo?

Se sapessi già che tua figlia morirà di cancro, giovanissima, t’innamoreresti comunque di suo padre? Lo sposeresti? Diresti di sì quando, danzando nella vostra cucina, ti chiederà di fare un bambino?

La riflessione è complessa e il ragionamento sul fatto di poter superare il concetto di tempo lineare pone anche questioni sul libero arbitrio.

Ad esempio, pare evidente che Tom e Jerry sapessero che sarebbe esplosa una bomba. Che sapessero che Jerry, scegliendo di rimanere vicino alla detonazione per salvare i due umani, non sarebbe sopravvissuto. Essendo una specie estremamente evoluta, possiamo dedurre che sia stata una libera scelta, un sacrificio fatto in onore della propria specie, anche se l’”investimento” non vedrà i suoi frutti prima di 3000 anni.

Ma avrebbe potuto tirarsi indietro? Il futuro era scritto perchè in esso era già scritta anche la sua scelta?

Inoltre, vediamo Louise avere visioni del futuro solo all’interno della propria vita. E sorge spontanea una domanda lievemente più nerd: gli eptapodi conoscono il futuro fino a oltre 3000 anni in avanti perchè hanno una vita incredibilmente lunga, o perchè l’estrema evoluzione del loro sistema linguistico permette di superare anche quel limite? Personalmente, penso si tratti di questa seconda opzione.

Tirando le somme, per me rimane eccezionale la scelta di mostrare l’importanza del linguaggio che può dare forma, o dare una nuova forma, a una civiltà, e di impostare un intero film su questo, riducendo lo spazio per i topoi di genere (comunque non assenti).

E’ un film godibile, con immagini che rimangono impresse, con bravi attori e che impone un pochino di riflessione sia sulla società umana, sia su questioni più “alte”, che non fa mai male!